Quante volte ci è capitato di dire o pensare che bambini, bambine e ragazzi “non fanno altro che giocare…”? In realtà non solo questa è una falsa credenza ma rivela anche la l’atteggiamento quasi svalutante e di minimizzazione che spesso abbiamo nei confronti di tutto ciò che ha una connotazione ludica.
Iniziamo intanto con un chiarimento che può esserci utile nel condividere un approccio che tenga conto del suo valore, e cioè: cos’è il gioco?
Non è facile definirlo, basti pensare che una stessa azione può essere ludica ma può anche non esserlo; sono la motivazione, l’intento e la cornice a fare la differenza! Quello che possiamo dire con certezza è che il gioco per essere tale deve essere un’attività fine a se stessa. Ma attenzione, non per questo dobbiamo pensare che non sia importante!
La gratuità e la mancanza di una finalità di apprendimento definiscono il gioco come attività espressiva, che accompagna, caratterizza e sostiene il processo di crescita (di bambini e bambine ma non solo!) e che fornisce un mondo in cui poter agire per quello che si vuole, che si può e che si è. In più se è vero che non si gioca per imparare, è vero anche che spesso accade che si impari giocando.
Per tutti questi motivi è fondamentale riconoscere e rispettare l’importanza di ogni forma di gioco, perché non sempre si gioca ma quando si gioca giocare è una cosa seria!
Parliamo di “ogni forma di gioco” perché non ne esiste un solo tipo e i giochi non sono sempre e tutti uguali, anzi sono talmente diversi fra loro da essere suddivisibili in categorie in base al tipo di competenze messe in gioco (letteralmente), allo scopo, al materiale che viene utilizzato…procediamo quindi con ordine. Nei primi mesi di vita e di relazione fra genitori e bambino, ad esempio, i circoli di stimolo-risposta possono trasformarsi in scambi ludici e dare origine alla prima forma di gioco: il GIOCO TONICO.
Quando si sviluppano competenze che favoriscono l’emergere di intenzionalità e permettono di agire sul mondo e diventarne sempre più protagonista attivo, compaiono il GIOCO SENSORIALE e il GIOCO SENSOMOTORIO.
C’è poi il GIOCO SIMBOLICO, che inizia con utilizzo di oggetti ed esecuzione di azioni “come se”. Crescendo, poi, i giochi vengono progettati e si definiscono a priori il momento in cui devono essere realizzati l’esercizio e la finzione e anche il modo in cui farlo: ecco il GIOCO DI REGOLE. La comparsa delle varie tipologie di gioco segue quindi una linea evolutiva, che solitamente viene associata a delle età a cui vengono ricondotte le competenze le caratterizzano; noi, pur tenendo a mente il riferimento temporale, preferiamo porre l’accento su ciò che muove la progressione.
Questo ci aiuta non solo a focalizzare l’attenzione sul processo e sulle caratteristiche della persona, ma anche a tenere a mente che il repertorio ludico nel tempo non cambia: si arricchisce!
Ogni tipologia di gioco infatti rimane fruibile anche quando è presente quella “successiva” e fra tutti i giochi possibili ogni bambino e bambina ma in realtà ogni persona agisce quelli che sente più propri.
Ma perché, lo fa? Per ricercare e trovare sensazioni piacevoli, per il brivido del rischio, per il piacere dell’imprevisto, per il gusto di esercitare abilità, per sperimentarsi in ruoli , per potersi muovere in terreni inusuali…Il cucù e gli scacchi, il nascondino e i cavalieri, le bambole e i dadi, il solletico e le carte…sono giochi tutti diversi, ma tutti ugualmente importanti per la persona che in quel momento ci si dedica, bambino/a, ragazzo/a o adulto che sia.
Osservare, riconoscere e rispettare il gioco e il non-gioco di bambine, bambini e ragazzi/e ci permette di scoprire molto di loro e spesso di trovare anche il modo migliore per accompagnare e sostenere il loro percorso di crescita. Divertendoci. Insieme.
In fondo, che “Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione” lo sosteneva già Platone.
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